Francesca Frau: l’arte di arredare con il ferro battuto

Giovane artigiana sarda, Francesca Frau ha scelto per passione di mantenere viva la tradizione familiare della lavorazione del ferro battuto, rilevando l’attività di famiglia nei primi anni Duemila. I suoi lavori, che consistono per la maggior parte in complementi d’arredo d’interni ed esterni e sculture in ferro, sono disegnati per poter valorizzare gli ambienti di case, alberghi, negozi e b&b, e realizzati attraverso l’utilizzo di tecniche antiche come la forgiatura, la fiammatura e la cesellatura del metallo. L’alta qualità delle creazioni deriva dalla costante partecipazione alle più importanti manifestazioni di Artigianato Artistico della Sardegna, che nel tempo hanno portato Francesca a collaborare con diversi maestri artigiani di tutta l’isola. “Quella della lavorazione del ferro battuto è sempre stata vista come una professione prettamente maschile. Vent’anni fa risultava molto difficile pensare che una ragazza potesse svolgere questo lavoro, riuscivo a far cambiare opinione solo invitando fisicamente il pubblico a visitare il laboratorio e ad osservarmi mentre ero al lavoro. Oggi, con il web, tutto cambia: gli scetticismi vengono smontati sul nascere perché le immagini fanno il giro del mondo in tempo reale e questo abbatte ogni stereotipo”, racconta Francesca. “Credo che il tocco e il gusto femminile possano dare un valore aggiunto a quest’arte, come a tante altre, e cerco di diffondere questo messaggio attraverso la comunicazione sui miei canali social, dove ricevo molti incoraggiamenti sia da donne, che da uomini”.

Daniela Diletti: innovazione e artigianalità oltre gli stereotipi

Rinnovare il settore delle calzature e allontanarlo dai luoghi comuni: è questa la mission di Daniela Dilettiimprenditrice marchigiana che, nel 2012, ha fondato un’azienda nel ramo calzaturiero, dando nuova vita alla tradizione familiare.

Dal primo negozio a Torino ai temporary store in Italia e all’estero, fino all’e-commercequella che porta avanti Daniela è una rivoluzione sia digitale che culturale, mirata ad abbattere la distanza tra produttori e cliente finale e a superare gli stereotipi legati alla figura femminile. “Quello del design e della produzione di scarpe è un ambiente prettamente maschile. Le scarpe vengono realizzate soprattutto secondo parametri estetici maschili che vedono i piedi delle donne idealizzati e conformistici: da sempre si immagina la figura femminile con piedi minuti e scarpe piccole. Viene, dunque, considerato normale che l’indossare delle calzature, soprattutto per una donna, debba rivelarsi un po’ doloroso, non dando ascolto alle esigenze personali: da cui deriva che i problemi di deformazione del piede nutrono anche una forte derivazione culturale”.

Per portare avanti questa battaglia, Daniela ha da subito posto al centro del suo business il dialogo con le donne e l’attenzione alle loro necessità. “Ho sempre cercato di comprendere da vicino le problematiche femminili e di comunicare attivamente per risolverle. Ecco perché, prima di vendere un paio di scarpe ad una cliente, non domando mai la taglia che indossa, ma la misura del suo piede, oltre ad eventuali problemi o patologie. Utilizzo strumenti digitali e di messaggistica per coinvolgere le mie clienti all’interno del processo produttivo e per fornire un’assistenza dettagliata durante tutte le fasi dell’acquisto, arrivando a conoscere attentamente chi c’è dall’altra parte della chat”.

Una sfida, quella di Daniela, che unisce il desiderio di riportare in auge a livello nazionale l’interesse per i mestieri antichirendendoli attuali attraverso il digitale, e di superare gli stereotipi di genere. “Il business è da sempre considerato materia maschile e credo che i pregiudizi nei confronti delle donne che si occupano o fanno impresa esistano ancora: tuttavia, non li ritengo ostacolanti”, continua. “È fondamentale per una donna riuscire a superare questa prima barriera di diffidenza e non smettere di credere nel proprio progetto”. Un consiglio per iniziare? Sfruttare gli strumenti digitali attuali – dai social al POS mobile come quello di SumUp – per avviare il proprio business ed accettare ogni forma di pagamento in modo semplice e veloce.

Marcella Menozzi: dalla passione per la musica all’arredamento su misura

Imprenditrice emiliana, Marcella Menozzi si è avvicinata nel 2016 al mondo delle creazioni in legno, mentre svolgeva ancora la professione di musicista e videomaker. Un amore a prima vista che ha spinto Marcella a frequentare numerosi corsi per affinare sempre di più la sua tecnica, fino a bussare alle porte delle botteghe per diventare falegnama. Nel 2019, Marcella ha aperto, a Bologna, la sua attività ed un e-commerce –  MenoDesign – progettando e realizzando oggi mobili su misura, oggetti in legno, lampade utilizzando materiale di recupero e arredi creativi, mantenendo quella vena artistica che da sempre costituisce un tratto distintivo della sua personalità. Il nome MenoDesign nasce sia dalla voglia di valorizzare il significato puro della parola design: ideazione e progettazione, sia con l’intenzione di semplificare, sottrarre fino a raggiungere l’essenza del prodotto da realizzare. La passione per il legno nasce nel 2016 dopo un corso di stop-motion che le ha permesso di lavorare con le mani e costruire. Scalpelli, seghe e pialle sono così diventati i suoi strumenti di lavoro. “Amo il mio lavoro e nonostante sia generalmente percepito come una professione maschile, non mi sono mai sentita sminuita o sottovalutata”, racconta Marcella. “Ho la fortuna di avere un bellissimo rapporto sia con i miei clienti, che sono per la maggior parte donne, che con i miei collaboratori. Sono stati proprio questi ultimi ad insegnarmi come lavorare al meglio: anche quando ci sono da spostare oggetti pesanti, non è sempre una questione di forza, e con la tecnica giusta è possibile sollevare pesi anche per chi non ha una costituzione particolarmente robusta. Se sono in difficoltà? Chiedo aiuto,  senza sentirmi in difetto o inferiore”.


Cosa realizzo

Progetto e realizzo mobili su misura, oggetti in legno, lampade con materiale di recupero e arredi creativi in genere.
Non mi pongo limiti, né di dimensione, né di funzionalità: mi piace partire da una necessità o da un desiderio, fare ricerca per trovare proposte e soluzioni originali.
Sono disponibile a realizzare progetti su commissione, partendo da nuove invenzioni o la messa in pratica di un’idea esistente.

Felicità in azienda: la rivoluzione gentile che fa crescere il business

Il 20% dei lavoratori vuole cambiare lavoro per mancanza di serenità in azienda. La produttività, invece, cresce del 68% nelle realtà in cui i rapporti sono basati sull’empatia. Le ricerche condotte dall’Università Popolare degli Studi di Milano e 4 M.A.N. spiegano quanto sia forte il potere anche di un semplice “grazie”

Una buona retribuzione non è più sufficiente ad assicurare la fidelizzazione degli impiegati in azienda. il mercato del lavoro sta mutando e, nonostante il livello di disoccupazione sia ancora altro, dimettersi non fa più paura. Il desiderio di essere felici è spesso più forte di qualsiasi remora. Un fenomeno che, in America, prende il nome di “Great Resignation”: creare ambienti piacevoli, stimolare il senso di appartenenza e, soprattutto, assicurare un approccio empatico, sono elementi imprescindibili che ora, possono seriamente cambiare il destino di un’azienda.

Su un campione di 478 aziende di diverse dimensioni prese in esame, 4 M.A.N. Consulting ha riscontrato che, tra i dipendenti, il 20% manifesta la volontà di cambiare lavoro a causa della mancanza di relazione interna all’ambiente lavorativo. Il 32% ritiene che la gestione umana del proprio superiore incida negativamente sulle proprie performance. L’87% pensa che i sistemi di incentivazione economica, in assenza di riconoscimento formale della relazione, siano nulli e non siano il fattore rilevante per le performance. Il 57% degli intervistati afferma che in presenza di Gentilezza ed Empatia si è maggiormente motivati a produttivi. Il 95% ritiene che alla base di una peak performance (i picchi di eccellenza) c’è il rapporto “comprensivo” con il proprio capo ed i colleghi.

I lavoratori, dunque, prendono sempre più consapevolezza che la gentilezza è sinonimo di “salute”. Un approccio empatico aiuta a sentirsi felici e benvoluti, fa risolvere più facilmente i conflitti e, fattore non di certo secondario, spinge a essere più produttivi

A tal proposito, l’Università Popolare degli Studi di Milano ha in effetti evidenziato (basandosi su un campione rappresentativo di 348 aziende italiane di diverse dimensioni e operanti in vari settori) una produttività superiore del 68% nelle realtà in cui i rapporti interpersonali sono basati su gentilezza ed empatia rispetto a chi, invece, continua a mantenere un approccio più formale e distaccato tra colleghi, capi, sottoposti, clienti o fornitori. Da evidenziare, soprattutto, i dati relativi alla fiducia (che cresce del 75%) e della soddisfazione di chi lavora o collabora con quella specifica azienda (che segna un +93%). 

Dati alla mano, è dunque necessario che imprenditori e manager prendano sempre più coscienza che un clima di lavoro ostile non porta benefici, anche e soprattutto in termini di business…

«Sono anni che il sistema di welfare aziendale si interroga su come si possano aumentare i livelli di benessere percepito, andando ad impattare positivamente su riduzioni drastiche di assenteismo, malattia e scarsa produttività. – fa presente Roberto Castaldo,Presidente e fondatore di 4 M.A.N. Consulting – Eppure, ancora oggi, nonostante le evidenze, il concetto di felicità in azienda viene visto con diffidenza, anche se finalmente qualcosa sta cambiando». Alcune aziende, infatti, si stanno dotando di uno Chief Happiness Officer o manager della felicità, una figura professionale nello staff HR con competenza in coaching che si occupa dello stato di benessere dei dipendenti e del loro livello di soddisfazione. 

È ormai palese, infatti, il grande valore aggiunto in tutta la parte di governance garantito dal “well-being management” e l’applicazione di sistemi incentivanti basati sulla leadership umanistica. Presupposti che fanno parte dei pilastri dello Human Performance Protocol, un sistema di performance management, creato da Castaldo, che rivede il ruolo della persona in una rivoluzione culturale che richiama i principi umanistici.

«La ricerca condotta dal nostro Ateneo aggiunge il Professor Marco Grappeggia, Presidente Università Popolare degli Studi di Milano – è fondamentale soprattutto se tiene conto dell’attuale scenario storico, sociale ed economico. È facilmente comprensibile che la crisi portata dal covid19 renda ora necessaria una buona dose di fiducia, nel datore di lavoro o nel fornitore. È indispensabile credere, ad esempio, che il proprio “capo” faccia il possibile per mantenere il lavoro di tutti i suoi dipendenti, tutelandone la salute e facendo quadrare i conti». Al contrario, quando manca questa fiducia, si può scivolare in uno stato depressivo che porta a lavorare meno e peggio, o a decidere di licenziarsi per cercare un nuovo impiego. 

Una miglior qualità di vita all’interno dell’azienda – fa sempre notare il report dell’Università Popolare degli Studi di Milano – rende possibile l’acquisizione e la fidelizzazione dei migliori talenti,che sceglieranno spontaneamente di mettere a disposizione dell’azienda le proprie idee e competenze, al fine di crescere.

Gentilezza ed empatia, dunque, sono la vera rivoluzione da mettere in atto per determinare il destino di un’azienda. Una buona brand reputation, infatti, tenderà a fidelizzare non solo i talenti ma anche i clienti migliori. La felicità in azienda è lo strumento vincente per il raggiungimento degli obiettivi di business.

Le donne del Teatro Comunale di Modena

“Il teatro non è cosa per donne” è una frase celebre dell’attore e regista Carmelo Bene. Forse si riferiva alla fatica, alla durezza, del lavoro teatrale e dunque alludeva che le donne erano troppo deboli per affrontarlo.  Eppure le professioniste che lavorano a teatro, in particolare dietro le quinte, sono tante. Fanno parte di un mondo nascosto al pubblico eppure pulsante di abilità, esperienza e capacità: un mondo nel quale la tecnica si unisce a gesti che affondano la loro origine in tempi lontani. È il mondo dei macchinisti, degli attrezzisti, degli scenografi, dei sarti. Nulla senza di loro potrebbe esistere di quella “materia dei sogni” di cui il teatro è fatto. È artigianato in senso stretto, un’attività nella quale ogni prodotto è diverso dall’altro, e in ognuno c’è l’impronta della mano di chi lo ha fabbricato così come i pochi strumenti, spesso realizzati in proprio. Al Teatro Comunale Pavarotti, principale teatro lirico di Modena, due figure chiave nella messa in scena degli spettacoli sono donne: Keiko Shiraishi, una delle poche scenografe sulla scena teatrale nazionale odierna e Catia Barbaresi capo macchinista teatrale, unica donna in Italia a ricoprire questo ruolo in un ente teatrale stabile e una delle pochissime macchiniste in Italia.

KEIKO SHIRAISHI

E’ giapponese l’erede di cinque secoli di tradizione pittorica teatrale emiliana che arriva ai nostri giorni con i pittori modenesi Koki Fregni, Maria Grazia Cervetti e Rinaldo Rinaldi. Keiko Shiraishi è capo scenografa del Teatro Comunale, uno dei pochi teatri rimasti in Italia nella costruzione di allestimenti scenici. Significa che la maggior parte delle opere sono affidate ad artigiani con l’allestimento all’italiana di fondali e quinte dipinte a mano. Una tradizione che viene esportata in tutto il mondo, soprattutto nel caso degli scenografi esecutori. Gli italiani sono gli unici che ancora dipingono a mano, e a livello di eccellenza.

Keiko, parlaci dei tuoi inizi

Sono nata nel 1970 a Shizuoka, in Giappone.  Risale agli anni ’80 la mia prima esperienza come illuminotecnico e scenografa per la compagnia teatrale del Liceo regionale Kariyakita. All’età di 18 anni ho lasciato gli studi superiori per seguire mio padre in India, ingegnere della Toyota e responsabile dello stabilimento di Nuova Delhi. Lì mi sono dedicata agli studi universitari, ho studiato Musica Classica Indiana al Conservatorio e lingua italiana presso l’Ambasciata Italiana di Nuova Dehli. Nel 1993 sono arrivata a Roma per studiare all’Accademia di Belle Arti. Ho collaborato come apprendista al Teatro dell’Opera di Roma e come scenografa realizzatrice al Teatro di Roma. Ricordo di essermi presentata tutti i giorni per sei mesi per convincere il direttore del Teatro dell’Opera a farmi fare lo stage.  Grazie a Edoardo Sanchi sono diventata assistente di Rinaldo Rinaldi, tra i più importanti scenografi al mondo.

Come sei arrivata a Modena?    

Nel 1997 ho seguito Rinaldi a Modena e insieme abbiamo collaborato alla realizzazione pittorica di importanti opere commissionate dai più prestigiosi teatri lirici nel mondo. L’anno dopo sono entrata al Comunale prima come stagista e poi da scenografa. Non potendo essere assunta, in quanto straniera ed extracomunitaria, ho aperto la partita Iva e dal 2011 ho lavorato come scenografa libero professionista per diversi teatri e in modo continuativo, dal 2017, con il Teatro Comunale. Come libera professionista, ho firmato e realizzato scene di spettacoli teatrali per la Compagnia del Serraglio, Giardini Pensili, Teatro dei Cinquequattrini.

Come si costruisce una scenografia e quante ne hai realizzate?  

Sono scenografa specializzata nella costruzione di fondali dipinti a mano. E’ un mestiere puramente artigianale che sta ormai scomparendo. Il fondale è l’elemento scenografico più importante e si trova nello sfondo del palcoscenico. Nella mia carriera ho realizzato quaranta, tra scenografie e fondali dipinti a mano. Usiamo pennelli, tavolozze e colori, si lavora in piedi con le tele a terra. Occorrono tre mesi per realizzare una scenografia di ampie dimensioni mentre se la scena è piccola lo realizzo da sola e in un mese. E’ un’arte antica e difficile perché come realizzatore devo interpretare le intenzioni del bozzettista e prevedere l’effetto finale. Il lavoro finito è tutto finto, una illusione per il pubblico ma la tecnica per realizzare questi scenari è in realtà un’arte meravigliosa, quella praticata dai pittori di fondali che, appunto, dipingevano le ambientazioni che avrebbero fatto da sfondo alle storie.  

Progetti per il futuro?

Mi piacerebbe portare avanti la tradizione di questo antico mestiere, ormai in estinzione, proprio qui a Modena.  Oggi solo quattro pittori, in tutta Italia, dipingono i fondali, due lavorano sotto la Ghirlandina. Pochi sono i laboratori di scenografia mentre i fornitori sono quasi scomparsi. Gran parte del materiale viene autoprodotto: dai carboncini ai pennelli fino ai colori di scenografia. La città di Modena, essendo patria di artigiani importanti  nel mondo del teatro, come Rinaldo Rinaldi, uno degli ultimi pittori rimasti a dipingere fondali nella sala di scenografia di un teatro d’opera italiano, potrebbe pensare di investire in una scuola di scenografia rivolta alle nuove generazioni perché questo lavoro si impara solo facendolo.   

CATIA BARBARESI

E’ diplomata all’istituto d’Arte e specializzata in Architettura e Arredamento. Ma quando, nel 1997, Catia Barbaresi, originaria di Fano, ha messo piede per la prima volta nel Teatro di Fano, ha capito che il palcoscenico sarebbe stato il suo “luogo di lavoro”. Da più di vent’anni lavora come capo macchinista per il Teatro Comunale di Modena. Il suo compito è quello di montare le scenografie e farle muovere sulla scena durante lo spettacolo. Una magia, appunto, che si nutre di tecnica e sapienza del mestiere.

Qual è stato il tuo approccio al teatro?

Nel 1997, all’età di 20 anni, ho vinto un concorso al Teatro di Fano, la mia città di origine, ed ho iniziato subito a lavorare come macchinista. Sono entrata in questo mondo fantastico e per me è stato amore profondo grazie anche ad una sensibilità musicale trasmessa da mia nonna. Quello del macchinista è un lavoro complesso: bisogna mostrarsi determinati, soprattutto in un contesto lavorativo prevalentemente maschile. Io stessa sono stata formata da un uomo, il grande Maestro Angelo Lontani di Piacenza che ha contribuito a farmi amare questo mestiere. Probabilmente, poi, c’è una predisposizione familiare a fare lavori maschili. Mia mamma aveva un lavaggio d’auto e mia zia era un capo operaio in un cantiere navale. Lavoro stabilmente, dal 1998, al Teatro Comunale di Modena ma mantengo ancora collaborazioni esterne, tra queste quella importante con il Festival dei Due Mondi a Spoleto.

Cosa ti appassiona del teatro?

Il mondo del teatro è molto bello perché solo quando sei dentro capisci cos’è: è come aprire una porta spazio tempo dove le opere teatrali hanno il dono dell’immortalità.  E poi, il lavoro dei tecnici dietro le quinte: abili artigiani, pronti a trasformare in realtà le fantasie geniali dei registi. Vedere la mano che realizza è il momento più affascinante. Mi muovo nel ventre del teatro, in un mondo che gli spettatori non vedono. Ma grazie al lavoro dei tecnici, di chi sta dietro le quinte, lo spettacolo esiste. 

In cosa consiste il lavoro del macchinista?

I macchinisti si occupano della costruzione, montaggio e movimentazione delle scene, prima e dopo lo spettacolo e del loro funzionamento durante la rappresentazione. Quella del macchinista è un’arte molto antica e non è cambiata nel tempo: il mio lavoro consiste nella gestione della parte tecnica: legare corde, realizzare contrappesi per sollevare oggetti pesanti, costruire e manovrare i marchingegni del palcoscenico. A Modena lavoriamo in un team affiatato dove è importante trovare una sintesi tra le diverse esigenze, dal regista, allo scenografo al tecnico della luce. La mia figura fa da raccordo tra il lavoro tecnico e quello artistico. Come capo macchinista ho l’ultima parola sulle decisioni da prendere nella preparazione delle strutture portanti alle quali sono in seguito appese le luci e le scene, preparando e movimentando i tiri. E’ un lavoro molto affascinante ma di grandi responsabilità dove il lavoro di uno dipende il lavoro degli altri e dunque, ogni ingranaggio è ugualmente importante e deve funzionare con precisione, affinché il risultato finale sia un successo.  

Cosa consigli ad un giovane che vuole seguire le tue orme?

Avvicinarsi ai teatri non è difficile ma non è neanche così immediato. Il lavoro del teatro è molto duro, e la memoria dell’esperienza difficile da trasmettere. Per questo occorre salvaguardare il lavoro del teatro come mestiere d’arte, perché altri possano apprendere e tramandare alle generazioni successive. Il percorso che avvicina di più al mestiere è l’Accademia di Belle Arti cui deve seguire la crescita professionale mediante l’esperienza sul campo affiancando i maestri nell’apprendimento dei segreti e trucchi del mestiere.

5 competenze trasversali di cui ogni donna che lavora ha bisogno

Conosciamo tutti le competenze tecniche e hard skills più ricercati dai datori di lavoro, come la scrittura professionale, la matematica, l’analisi e la conoscenza generale del computer, le lingue straniere. Queste abilità sono sia insegnabili che misurabili. Ma che dire di quelle soft skills meno conosciute, ma altrettanto importanti?

Le competenze trasversali possono essere un po ‘meno misurabili, ma hanno ancora la capacità di essere insegnate e migliorate. La sfida è che molte persone [sia i datori di lavoro che i dipendenti] non pensano alle competenze trasversali come aspetti necessari del proprio curriculum per eccellere sul posto di lavoro. Ecco perché abbiamo compilato un elenco delle prime cinque competenze trasversali più richieste nel mondo del lavoro.

  1. Comunicazione

Le abilità di comunicazione scritta e verbale sono importanti per costruire buone relazioni con il team di lavoro ed evitare errori. Ci aiutano anche a ritrarre non solo noi stessi, ma i nostri datori di lavoro, in una luce positiva e professionale. Quando comunichiamo chiaramente, e permettiamo anche agli altri di farlo, ci assicuriamo che tutti si sentano ascoltati. Ciò garantisce che i vari progetti siano completati in modo efficiente e accurato.

  1. Lavoro di squadra

La capacità di lavorare efficacemente all’interno di un team è fondamentale per quasi tutte le organizzazioni. Essere in grado di rimanere aperti a nuove idee ed espandersi all’interno del proprio gruppo consente all’azienda o all’organizzazione di trovare i migliori risultati possibili per i propri prodotti / servizi / clienti. Come specie siamo fatti per stare insieme e avere relazioni, quindi è naturale che lavorare come una squadra crei un ambiente di supporto e fiducia.

  1. Etica del lavoro

Un’etica del lavoro forte o positiva è qualcosa che è difficile da insegnare, ma facile da riconoscere. Un’etica del lavoro positiva è la capacità di seguire le attività in modo tempestivo e di alta qualità. Se qualcuno ha una forte etica del lavoro, quasi tutto il resto può essere insegnato. I dipendenti con una forte etica del lavoro sono quelli su cui i manager fanno affidamento, cercano di trattenere e premiare. Le persone con questa soft skill in genere hanno un’elevata attenzione ai dettagli, gestiscono il loro tempo in modo efficace e sono persistenti.

  1. Creatività

La creatività può applicarsi a una vasta gamma di competenze sia soft che hard. Le persone che abbracciano la creatività hanno la capacità di trovare modalità uniche ed efficienti per svolgere i loro compiti regolari. Questo modo di pensare porta a vedere le sfide come opportunità anziché ostacoli. La curiosità, la mentalità aperta e l’assunzione dei rischi sono importanti e i creativi eccellono in questo.

  1. Leadership

La leadership è una combinazione di molteplici competenze, tra cui decisione, integrità, affidabilità e capacità di mentore. I leader competenti supportano i loro dipendenti per essere intraprendenti indipendenti. Le donne tendono ad essere leader molto efficaci, soprattutto a causa della loro tendenza a lavorare in collaborazione con gli altri.

Cos’è un’analisi SWOT e come può aiutare la tua carriera?

Hai un obiettivo o un problema che stai cercando di risolvere? Potrebbe essere il momento di fare un’analisi SWOT!

Un’analisi SWOT viene solitamente utilizzata dalle aziende come strumento di pianificazione strategica. Consente di vedere una visione completa del tuo progetto e dove è possibile apportare miglioramenti. Allo stesso modo, puoi anche condurre un’analisi SWOT a livello personale per raggiungere i tuoi obiettivi e ottenere una visione completa di ciò che potrebbe fermarti.

Come condurre la propria analisi SWOT

Un’analisi SWOT personale consente di valutare facilmente se stessi attraverso un semplice modello, diviso in quattro sezioni: Punti di forza, Punti deboli, Opportunità, Minacce. Questo ti consente di esaminare sia i fattori interni che quelli esterni che potrebbero impedirti di raggiungere il tuo obiettivo.

Il tuo primo passo dovrebbe essere stabilire un obiettivo. È importante essere il più specifici possibile. Definisci quanto tempo ti stai dando per completare questo obiettivo e anche come saprai di averlo raggiunto.

Abbiamo suddiviso le sezioni e ti abbiamo dato domande da porre se rimani bloccato.

Punti di forza

I punti di forza rappresentano le risorse e le qualità che possiedi (cioè talenti, set di abilità, capacità, ecc.)

Domande da porre:

  1. In cosa sei bravo?
  2. Cosa ti piace fare?
  3. Che istruzione o certificazioni hai?
  4. Quali sono le tue qualità o le capacità riconosciute dagli altri?
  5. Qualche abilità unica?

Debolezze

Rappresentano le aree di miglioramento che ti mancano nel riuscire nel tuo obiettivo

  1. Competenze di cui hai bisogno per realizzare il lavoro che desideri
  2. Cose che devi migliorare
  3. Quali compiti eviti di svolgere?
  4. Quali sono le tue abitudini di lavoro negative?

Opportunità

Sono le possibilità che puoi sfruttare:

  1. Di quali competenze hanno bisogno i datori di lavoro che potresti imparare?
  2. Qualcuno della tua rete può aiutarti?
  3. Ci sono bisogni che nessuno sta colmando?
  4. Nuove offerte di lavoro al lavoro?

Minacce

Sono le fonti esterne che ti impediscono di raggiungere i tuoi obiettivi

1.Ci sono grandi cambiamenti nel settore in cui stai cercando di entrare?

2. Quali abilità ha la tua concorrenza che ti mancano?

Una volta che hai esaminato la tua analisi, è il momento di rivedere e stabilire le priorità. Assicurati di non aver perso nessun fattore importante in ogni scatola. Cerchia 1-2 aspetti per te importanti per raggiungere (o impedirti di raggiungere) il tuo obiettivo. Questo sarà il punto in cui inizierai a migliorare te stesso e ad andare avanti nel tuo obiettivo.

Storia di una mamma artista che trasforma gli scarabocchi della figlia in opere d’arte

Nel 2015, il lavoro dell’artista canadese Ruth Oosterman è diventato virale dopo che lei e sua figlia Eve, che all’epoca aveva solo 2 anni, hanno condiviso sui social media i loro dipinti collaborativi in ​​cui Ruth ha trasformato gli scarabocchi di sua figlia in bellissime opere d’arte. Ruth, che vive a Toronto, si lascia ispirare dalla sua bambina che ha il privilegio e la capacità di dare il “la” alle opere della sua mamma. Un bel progetto di famiglia, in cui è stato coinvolto anche il fratello minore Theodore, sfociato nell’esperimento “Collaborazioni con il mio bambino”. Dopo che la serie ha ottenuto l’attenzione internazionale, Ruth ha deciso di utilizzare le loro collaborazioni come piattaforma per ispirare gli altri, aiutarli a perseguire le loro passioni nella vita, e a condividere i loro talenti e il loro tempo con i più giovani. Il genio artistico è un dono e per creare delle opere d’arte bisogna possederlo come qualcosa di innato. Gli artisti hanno una grande immaginazione e si lasciano ispirare dalle cose più impensabili. Eve prende il suo pennarello, si posiziona davanti a un foglio bianco e inizia a tracciare delle linee che piano piano s’intrecciano e diventano forme inestricabili per una mente artisticamente inesperta. Poi arriva Ruth, mette in moto la sua immaginazione e con il suo genio artistico trasforma quelle linee in bellissimi disegni, delle vere opere d’arte.

«Sempre più in alto!»

Alessia Fontanari 28 anni, cofondatrice di Mapo Tapo, che organizza viaggi d’arrampicata sostenibili

Nasce dalla passione per la montagna e le arrampicate l’avventura di Alessia Montanari, cofondatrice di Mapo Tapo, agenzia che si propone di sviluppare il turismo sportivo estremo come mezzo per portare una crescita economica sostenibile alle comunità promuovendo il turismo responsabile, il rispetto per l’ambiente. «Con Mapo Tapo abbiamo iniziato a organizzare viaggi l’anno scorso – spiega Alessia Montanari – . Abbiamo fatto partire una quarantina di free climber internazionali, poi siamo stati costretti a chiudere. Era il periodo peggiore, ma non ci siamo persi d’animo. In autunno siamo riusciti a entrare a B4I, Bocconi for Innovation, l’acceleratore di start up dell’università, dove siamo rimasti fino a un mesetto fa. Una bellissima esperienza; non solo abbiamo avuto il sostegno finanziario, ma soprattutto ci hanno aiutato a strutturarci, e a creare una community con le altre start up. A breve apriremo le prenotazioni per viaggi nell’entroterra siciliano, nel sud della Sardegna, nella Repubblica Ceca e in Grecia. Trattiamo senza intermediari con B&B sul posto. Pensiamo che il turismo sportivo outdoor, a contatto con la natura, possa portare valore sostenibile in aree che non hanno tante opportunità per crescere. Speriamo a breve di poter offrire mete più lontane, come il Malawi, e di allargarci allo sci alpinismo e al surf, sempre in chiave internazionale. Puntiamo sempre più in alto! Intanto, grazie a una campagna di crowdfunding, abbiamo pubblicato e Climbing Travel Guide, con le 50 più belle destinazioni fuori dai sentieri battuti».