“Come posso diventare uno scrittore professionista?”. E’ la domanda che tanti scrittori, esperti nell’uso delle parole, continuano a farsi in cento modi diversi. Ma si può vivere di scrittura? Ne parliamo con Elisa Guidelli, in arte Eliselle, scrittrice e giornalista.
Eliselle, scrittrice poliedrica di successo. Come nasce la tua passione per la scrittura? Parlaci delle influenze letterarie che hai avuto, degli scrittori che ami.
La passione per la scrittura nasce da quella per la lettura. Fin da piccola i miei genitori mi hanno trasmesso l’amore per i libri e le storie, leggendomi e permettendomi di leggere moltissimo e spaziando tra diversi generi. Ho cominciato con l’epica e la mitologia, da molto piccola, e poi sono passata ai romanzi d’avventura e a quelli storici man mano che crescevo. Ricordo che ero una delle poche a scuola ad apprezzare Manzoni e Verga. Tutt’ora se trovo un libro che mi appassiona, dimentico di mangiare per leggerlo.
In qualunque veste ci si voglia accostare al mondo editoriale – scrittori, lettori o professionisti del settore – se ne rimane affascinati anche se la realtà può rivelarsi più complicata. Quale idea ti sei fatta di questo mondo?
È un mondo chiuso, spesso elitario, e so di dire cose che non ci si aspetta da una persona che ha pubblicato più di venti libri, ma è questa la realtà per quanto mi riguarda. Agli inizi ho fatto molta fatica, facendo tutto da sola: ho cercato editori senza avere agenti, ho girato fiere dell’editoria e fatto telefonate in prima persona, ho cercato riviste e antologie in cui potessi in qualche modo mettermi alla prova. Alle volte, nel mio percorso, mi sono sentita chiedere se avessi avuto un pedigree adeguato o un curriculum di un certo tipo, che non pareva mai abbastanza giusto o adeguato al campo. Ho cominciato nel 2003 a muovere i primi passi in questo mondo, e ad oggi, dopo vent’anni, mi sento ancora “al di fuori” e ancora “in fase gavetta”.
Non basta saper scrivere per essere scrittore. Cosa serve per te? Come sono nati i tuoi personaggi di maggior successo?
Serve costanza, determinazione, spirito di sacrificio e di abnegazione. Non esistono domeniche, non esistono ferie, non esistono serate di relax né con gli amici quando hai un romanzo da concludere o una consegna da effettuare. Se sei dentro una storia, non ne puoi uscire finché non hai messo il punto alla sua fine, pena saltare, rimandare e rischiare di non finirla mai: lo dico con cognizione di causa perché al momento, ho ripreso in mano uno storico che ho cominciato nel 2016 e ogni volta che riprendo in mano, devo riporre per altre urgenze, e tutte le volte è difficilissimo rientrare nel “mood”. I miei personaggi nascono da suggestioni, letture, intuizioni ma soprattutto passione: Matilda (di Canossa) non sarebbe mai nata senza il mio trasporto verso questo grande personaggio della storia.
Molti scrittori professionisti considerano la scrittura come strumento terapeutico e di conoscenza di se stessi. Lo è anche per te? Quali sono i personaggi dei tuoi libri più introspettivi?
La mia scrittura nasce da un’esigenza personale: ho iniziato per riflettere sui miei errori, guarire traumi e dispiaceri, riparare torti subiti, liberarmi di lutti e sofferenze, e l’ho fatto d’istinto, senza sapere che avesse anche questa funzione. L’ho capito solo col tempo che dava ottimi risultati in questo senso. Ho cominciato a scrivere da giovanissima, e sono arrivata a uscire dal guscio con molta timidezza, molta calma: lo pseudonimo Eliselle nasce proprio dal fatto che sentivo la necessità di schermarmi e non far sapere a nessuno che ero proprio io a scrivere e a firmare racconti e romanzi. Poi, col tempo, ho superato questo scoglio, ma è stata dura. Cerco di scrivere di personaggi il più possibile tridimensionali: nei miei noir di certo sono molto introspettivi, ma anche nelle commedie cerco di dargli uno spessore, facendo sorridere.
Si dice che le grandi opere, artistiche o letterarie, nascono da grandi emozioni, positive o negative. Quali libri ti hanno emozionato e quali emozioni associ ai tuoi personaggi che ami di più?
Con “Il colore della nebbia” ho sofferto coi protagonisti e li ho accompagnati nel loro percorso di sofferenza, complice un periodo duro che stavo vivendo. Attraverso di loro ho dato sfogo anche al mio personale disagio, e scrivere quel noir è stato molto terapeutico. Con “Il romanzo di Matilda” ho patito insieme alla protagonista, con cui sento da sempre una forte connessione: prima studiandola a lungo, poi cercando di ricostruire la “mia” Matilde di Canossa, ho attraversato con lei le tempeste della vita e delle sue fasi, e per questo le sono e le sarò sempre molto grata.
Tre anni vissuti in emergenza hanno condotto alcune persone a riappropriarsi del tempo e di un rinnovato rapporto con se stessi: reinventarsi, riflettere, fare il bilancio per poter, forse, operare una trasformazione (che è anche l’essenza della visione artistica e letteraria). Recentemente hai confessato sui social di vivere, in questo periodo, una fase di cambiamento. Come stai gestendo questo processo?
Con mille dubbi, come sempre, perché lasciare un lavoro “fisso” per fare qualcosa di artistico, soprattutto qui in Italia, è un salto nel buio non da poco. Non ci sono reti di sicurezza, sei da solo e quel che è peggio, alle volte vieni considerato una sorta di bohemienne o perditempo che può permettersi di non lavorare per vivere: non hanno rispetto oppure non sanno o non capiscono che la scrittura è un lavoro come un altro, con la sola differenza che non si fanno “orari d’ufficio” e l’aggravante che, come già ho detto, non c’è spesso la possibilità di dire “bene, ora mi fermo e mi prendo le ferie come tutti gli altri”. Ho sempre fatto e continuo a portare avanti attività collaterali, come l’organizzazione di eventi letterari, ad esempio, e comunque tengo sempre aperte le orecchie nel caso ci sia la possibilità di dedicarmi a qualche lavoro part-time flessibile o stagionale interessante: al momento, però, solo scrittura, senza aspettative, e vediamo che succede.
Molti aspiranti scrittori debuttano nel mondo della scrittura attraverso il web grazie, anche, allo strumento del self publishing. Cosa ne pensi? Si tratta di un’occasione da cogliere o di un restringimento delle opportunità rispetto ai canali tradizionali (case editrici)?
Anche io ho “debuttato” sul web attraverso quelli che all’epoca erano forum o portali di racconti, per mettermi alla prova, partecipare a concorsi e riviste online, e credo che se non fossi sbarcata nel lontano ’99 in rete non sarei arrivata pubblicare così giovane: mi ha permesso di informarmi in autonomia su un mondo che vedevo lontano, difficile, a numero chiuso, e mi ha dato la possibilità di studiarne i meccanismi, le regole e le esigenze. Sul self-publishing posso solo dire che in misura minore era un fenomeno noto già allora, ma all’epoca non l’ho sentito mio, e sento di aver fatto bene sia a me stessa sia al mio percorso: misurarsi con dei no è molto utile per migliorarsi, soprattutto all’inizio, e a me è servito moltissimo anche per temprarmi, sono lezioni che non si dimenticano più. Il self-publishing lo trovo però utile quando voglio regalare qualcosa ai lettori: l’ho fatto con antologie o collaborazioni che ho donato come regalo di Natale sugli store online.
Sei scrittrice ma anche giornalista, formatrice e insegnante. Come il tuo lavoro influenza la tua visione del mondo quando scrivi e viceversa? Cosa ti lega alle storie dei tuoi racconti?
Giornalista lo sono diventata tardi, e al momento è una professione che tengo in standby: gli articoli che scrivo infatti sono pochi, e soprattutto per diletto, e le rassegne per quotidiani e radio online che curo sono collaborazioni che porto avanti pro bono perché mi appassionano moltissimo i libri. Coi ragazzi invece faccio bellissimi incontri a scuola, sia online sia in presenza, e devo dire che mi insegnano tanto: avere a che fare con loro direttamente, mi permette di ascoltare le loro versioni, le loro storie e le loro visioni dei libri che leggono, o i loro desideri sulle azioni di determinati personaggi che ne modificano i percorsi, ed è molto interessante avere anche la loro visione, perché mi avvicina di più alle mie storie e in qualche modo me le spiega. Sono molto affezionata ai miei personaggi, ma avere qualcuno che li “legge” in un modo che non ti aspettavi, me li fa scoprire con occhi nuovi e apprezzare di più.
Voglio immaginarti nel momento in cui scrivi. Cosa fai durante il tuo processo di scrittura? Leggi, rileggi, correggi? Sei maniaca perfezionista alla Flaubert o temperi matite come Simenon?
Mi metto a testa bassa e scrivo, qualche ora e poi mi fermo. Dopodiché stacco, pausa e ricomincio. Il giorno dopo, rileggo quel che ho scritto, lo correggo e vado avanti con i capitoli nuovi: in questo modo riesco a darmi un ritmo e a non uscire dalla storia, a mantenermi sul pezzo e sui personaggi emotivamente e mentalmente. È un’immersione, e ho bisogno di rimanerci il più a lungo possibile, senza dimenticare di riemergere di tanto in tanto a prendere aria.
Un altro tuo interesse è la ricerca storica, come per i romanzi incentrati su Matilde di Canossa e Judith Shakespeare.
Sono una storica e lo rimarrò per sempre. Persino le modalità rimangono tali, anche se la mia storia è ambientata nel contemporaneo: raccolgo fonti, faccio interviste, mi faccio un quadro il più possibile completo dell’argomento e poi parto a scrivere. Certo mi aiuta essere appassionata di Storia tout court e amo spaziare dal Medioevo al Rinascimento al Tardo Antico, perché sono sempre affamata di novità e non riesco a scrivere sempre della stessa cosa: è uno svantaggio, da una parte, mi rendo conto, perché “specializzarsi” su un periodo o un argomento specifico ti permette di creare una sorta di “catena di montaggio” delle storie e di avere sempre uno sfondo storico già “pronto all’uso” per i tuoi personaggi. Ma mi annoio, e ci sono tante storie da raccontare: faccio più fatica ma almeno ogni volta è come partire da zero con mille nuovi meravigliosi stimoli.
Di cosa ti stai occupando ora, e quali sono i tuoi progetti?
Ora sto riprendendo in mano per la quarta volta un romanzo che in questi anni di lavorazione ho dovuto interrompere più volte per scriverne altri. Poi ho un romanzo per ragazzi che mi gira in testa, e per cui ho già fatto una buona parte di ricerca, vediamo se e dove mi porterà.