La storia di Anna Castelli. Riprendersi dopo un licenziamento

Tra gli esempi di startup di successo troviamo la storia di Anna Castelli, che è stata manager per circa 20 anni, presso una multinazionale canadese.

Un bel lavoro di cui era soddisfatta. Ben pagata, conduceva una vita agiata e faceva molti viaggi. Un giorno però è accaduto che la sua azienda è stata venduta a un’altra multinazionale e la nuova azienda ha assunto altre persone. In un batter d’occhio si è ritrovata licenziata.

Ha attraversato un periodo molto difficile che è durato un anno. Poi ha avuto un’illuminazione, un’idea che le ha fatto balenare in testa il pensiero di aprire una sua startup e con una amica d’infanzia ha dato vita a Make space for life. La sua è una startup al femminile con sede a Montréal, Québec, che aiuta le persone che devono affrontare un trasloco. Tuttavia non si limita solo a impacchettare e trasportare il tutto, si occupa anche della sistemazione dei mobili nella nuova casa e di fare persino piccoli lavori di ripristino. Così, i nuovi abitanti, si ritroveranno sin da subito in una casa pronta, accogliente e abitabile.

Durante il Covid il governo canadese è subito intervenuto con un bonus da 2000 euro mensili, previsti fino alla fine della crisi.

Come è nata l’idea di aprire questa attività? “Per cominciare, eravamo sempre richiesti ogni volta che i nostri amici e la nostra famiglia si trasferivano, rinnovavano o si riorganizzavano. Sapevano che la nostra passione era aiutare le persone, prima di tutto. Con il progredire delle nostre carriere professionali nel corso degli anni, abbiamo sviluppato una vasta esperienza in aree come il servizio clienti e la gestione dei progetti, insieme a forti capacità organizzative e attenzione ai dettagli. Una volta deciso di creare Make Space for Life , abbiamo studiato tutti gli aspetti dell’organizzazione personale e siamo stati certificati come Advanced International Organizing Professionals (AIOP). Siamo inoltre completamente assicurati e registrati come membri degli organizzatori professionali in Canada (POC)“. Oggi i nostri clienti hanno presto riconosciuto le nostre capacità professionali, ma anche l’aspetto umano del nostro approccio. Pratichiamo grande cura, empatia e una mente aperta con tutti i nostri clienti, riconoscendo che fare una transizione e far entrare le persone nel tuo spazio personale può essere un’esperienza molto emozionante. Ci piace sinceramente lavorare con le persone e contribuire alla gratificazione che le soluzioni organizzative personalizzate portano alla vita dei nostri clienti.

I londinesi Oliver e Alexander Kent-Braham, 29 anni, potrebbero trasformare il modo in cui si acquista l’assicurazione

Oliver e Alexander Kent-Braham

Che cosa fa Marshmallow

LONDRA – Le start-up da miliardi di dollari non sono certo una rarità: la società di dati CB Insights elenca più di 800 aziende tecnologiche private in tutto il mondo valutate oltre il miliardo di dollari o più. Ma Marshmallow, una piattaforma assicurativa digitale con sede a Londra, è davvero rara. Fondata nel 2017 dai gemelli misti Oliver e Alexander Kent-Braham, è la seconda azienda di proprietà di cittadini di pelle nera in Gran Bretagna e ha debuttato nel mercato assicurativo offrendo una copertura per le auto degli stranieri immigrati nel Regno Unito. Recentemente i due fondatori hanno ottenuto finanziamenti per la loro compagnia di assicurazioni digitale ottenendo una valutazione di $ 1,25 miliardi (£ 910 milioni) e lo status di “Unicorno”, il termine usato nella Silicon Valley per indicare le start-up che valgono più di $ 1 miliardo, come Uber e Airbnb. L’azienda Marshmallow si propone come il secondo unicorno del Regno Unito ad essere fondato da persone di origine nera. Ciò fa seguito a una serie di studi e ricerche nell’ambito della raccolta fondi nella tecnologia europea e che evidenziano come i neri costituiscono solo il 3% di forza lavoro impiegati nell’industria europea. Un altro rapporto afferma, invece, che meno dell’1% del capitale del Regno Unito è stato indirizzato ai fondatori di aziende di proprietà di neri negli ultimi 10 anni. “Le statistiche sulla mancanza di diversità nelle industrie di venture capital e startup sono “scarse”, dice Oliver “Solo una piccola parte di capitale va verso i fondatori neri.”

Gli affari vanno a gonfie vele

Dalla sua fondazione la prima compagnia di assicurazioni per auto digitali si è inizialmente proposta per servire gli espatriati, che hanno faticato a trovare un’assicurazione conveniente presso i fornitori storici. Lo scaleup ora si descrive come “mercato di massa” ed è una delle uniche due insurtech britanniche a cui è stata concessa una licenza dalla FCA, il che significa che può vendere l’assicurazione direttamente ai clienti. Ma più in generale, fa parte di un gruppo emergente di startup tecnologiche che affrontano un settore assicurativo radicato su cui gli investitori hanno scommesso. Per un settore che vale 6 trilioni di dollari a livello globale e, fino a poco tempo fa, non ha visto la stessa quantità di innovazione tecnologica della finanza o della salute, non è difficile capire perché i VC ora siano desiderosi di investire nel settore digitale. “Siamo rimasti molto sorpresi dalla continua mancanza di diversità nel settore tecnologico – ha detto in un’intervista alla CNBC Oliver Kent-Braham, CEO di Marshmallow – . Secondo Extend Ventures, nel Regno Unito, secondo Extend Ventures, solo l’1,6% del finanziamento del capitale di rischio è andato a team fondatori completamente etnici, mentre solo lo 0,2% è andato a imprenditori neri. Kent-Braham pensa che la colpa sia della mentalità del capitale di rischio. Molti investitori tecnologici ignorano le e-mail fredde e supportano solo i fondatori che conoscono attraverso i colleghi, ha affermato. Con oltre 100.000 clienti ora registrati, Marshmallow prevede di lanciare altri prodotti e di espandersi in tutta Europa. Il mercato della tecnologia assicurativa, o insurtech, ha visto un’impennata degli investimenti quest’anno dopo che la pandemia di Covid-19 ha accelerato uno spostamento del comportamento dei consumatori verso i servizi online.


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Lungo il filo della storia. Da otto generazioni, l’arte della tessitura in chiave contemporanea

L’arte del tessere è antica quasi quanto l’uomo. Tutte le civiltà, nei periodi storici, hanno lasciato testimonianza delle proprie conoscenze nel campo della produzione di manufatti tessili, in gran parte tramandate per via orale e, prima dell’avvento della produzione su scala industriale, mantenute e custodite nell’ambito delle famiglie di artigiani tessitori, riuniti eventualmente in corporazioni.
La ditta Artelèr è nata negli anni ’80 proprio dalla volontà di Lucia Trotter e della madre Lina Zanon di recuperare e ripristinare il mestiere della tessitura manuale, principale attività lavorativa della famiglia materna fino ai primi decenni del ‘900. Ricostruendo ed utilizzando i telai secondo tecniche secolari, la ditta Artelèr produce tessuti originali per disegno e caratteristiche tecniche di fabbricazione, discendenti da una antica tradizione di area europea. Il laboratorio artigiano si trova a Mezzano, un borgo gioiello nella Valle di Cismòn, dove, attorno ad antiche stradine e case sapientemente restaurate, si tramandano i mestieri di un tempo dimostrando come sia possibile coniugare la tradizione con il futuro e l’innovazione. Lucia Trotter porta avanti la tradizione tessile di ben otto generazioni assieme alla figlia stilista Carmen ed alla cognata Teresita (detta Zita).

Come nasce questa tradizione? Come tante altre storie di migrazione, comincia con una storia di riscatto, di speranza e di sogni alla ricerca di un futuro migliore. Tutto parte dalla vicenda di Primiazzo Zanon, tessèr della Val di Fiemme. Smonta il suo telaio, lo carica su un carretto, e s’incammina tra fitti boschi per valicare il versante dei monti diretto verso la Valle di Cismòn, terra non troppo lontana. Qui, precisamente a Mezzano, pittoresco borgo a 90 chilometri da Trento con poco più di 1600 abitanti, mette su casa, bottega e famiglia e dà avvio a una stirpe di tessitori che, ancora oggi, è identificata dal suo nome troncato “Miazzo”. Di generazione in generazione, i Zanon continuano esclusivamente a tessere e si tramandano il mestiere fino a metà Ottocento diventando artigiani e imprenditori e incentivando l’economia del proprio paese e trasmettendo i primi rudimenti dell’arte a qualche giovane richiamato da un proclama che invita possibili garzoni. 

Lucia, fin da quando ha ricevuto il “testimone” dalla mamma Lina, ha continuato ad unire la curiosità della sperimentatrice con la sicura competenza che le viene dalla tradizione.
Nel laboratorio sono ancora in uso gli antichi telai di famiglia con cui vengono tra l’altro realizzati i pregiati damaschi double-face con disegni che risalgono all’impero austroungarico. Accanto a copriletto, coperte, tovaglie, tappeti e tendaggi,  adagiati sul tipico secchiaio di marmo di quella che un tempo era la cucina – sono in bella mostra anche i vestiti ideati dalla figlia stilista Carmen capi unici, moderni, scanzonati e vagamente etnici. Qui si lavora su ordinazione perché ogni pezzo è tipico, unico e di grandissima qualità.

“Ferrari” per i piedi, le opere dell’artigiana veneziana Gabriele Gmeiner

“Qualità significa fare le cose bene quando nessuno ti sta guardando.” Henry Ford

C’è ancora spazio per l’artigianato “old style”, dove la qualità si coltiva con la sola sapienza delle mani, oppure è una specie in via di estinzione?
A Venezia troviamo una delle esperienze migliori di prodotti artigianali di lusso esposti dietro le sue vetrine d’altri tempi, in Campiello del Sol, dietro la Stazione Centrale di Venezia, nell’intrico di calli e campielli. La bottega artigiana di Gabriele Gmeiner è una piccola impresa al femminile, realizza scarpe su misura destinate a un pubblico facoltoso e di nicchia, che chiede calzature rigorosamente fatte a mano. Di origini austriache, Gabriele Gmeiner, ha aperto la bottega nel 2002, grazie ad un finanziamento a fondo perduto previsto dalla legge Bersani per i giovani imprenditori. Oggi produce dalle 35 alle 40 paia di scarpe all’anno, su commissione di clienti in prevalenza stranieri. I suo prodotti sono Ferrari in versione calzatura: il prezzo di un paio di scarpe finito, compresa la forma in legno e la scarpa di prova, va dai 2.700 euro più iva agli oltre 5 mila euro e per realizzalo ci vogliono 80 ore di lavoro. Nel laboratorio di Gabriele Gmeiner, che ha lavorato con John Lobb e Hermès, non c’è nulla di tecnologico. Ogni fase – dalla scelta delle pelli, alla realizzazione della tomaia, della suola e alle rifiniture – conta sul “fare a mano” e sull’aiuto di quei (pochi) apprendisti che desiderano investire in questo mestiere. La meta produttiva mensile di Gabriele Gmeiner è di 3/5 paia di calzature al mese.

Il lavoro non manca, nonostante la crisi, ma per resistere bisogna consegnare entro i tempi e il lavoro di due sole mani non basta – spiega Gabriele Gmeiner in una intervista pubblicata su Il Sole 24 Ore – Il mio capitale è la manodopera e i miei investimenti si concentrano solo sull’abilità di collaboratori formati, ma non posso usufruire delle stesse agevolazioni previste per chi acquista nuovi macchinari”. “Nei prossimi mesi conto sulla collaborazione di due artigiane, due donne che, mi auguro, lavoreranno con me a lungo.L’unico modo per far crescere questa attività è aumentare la produzione, e quindi il fatturato, garantendo una manifattura al cento per cento artigianale”.

A Venezia, città di grandi camminatori, l’artigianato della calzatura sembra essere una prerogativa femminile: Gabriele Gmeiner, con Daniela Ghezzo e Giovanna Zanella, è infatti una delle tre donne a realizzare scarpe su misura. Nonostante la crisi il prodotto di nicchia e personalizzato vive un momento fiorente. La cultura della qualità e l’interesse per il prodotto al dettaglio si stanno diffondendo anche grazie ai social media e a una comunicazione fotografica che, dal cibo all’abbigliamento, esalta la bellezza. “È il momento giusto per investire nell’artigianato – chiude Gmeiner – confidando nella riscossa del Made in Italy che, seppur in sofferenza, ha ancora tutti i mezzi per imporsi nel mondo”.