LO CHEF STELLATO VALENTINO CASSANELLI: PORTO LA MIA MODENESITA’ IN VERSILIA

Incontriamo Valentino Cassanelli, uno dei migliori chef di talento di nuova generazione.  Modenese, classe 1984 e grande amante dei viaggi e culture diverse, soprattutto gastronomiche, ha dimostrato di avere idee molto chiare sul suo futuro dall’età di 14 anni, durante i suoi studi alla Scuola Alberghiera di Serramazzoni. Valentino ha alle spalle importanti collaborazioni con Giorgio Locatelli, Andrea Berton, Carlo Cracco. Proprio quest’ultimo, nel febbraio del 2012, ha presentato Valentino al “Principe di Forte dei Marmi”, in Versilia, come Executive Chef e Food & Bevarage Manager. Un talento della cucina tutto modenese ma prestato alla Versilia e una passione premiati con numerosi riconoscimenti professionali fino all’assegnazione nel 2017 della prima stella Michelin.

 

Da dove è iniziata la sua passione per la cucina? In quale occasione ha pensato “voglio fare il cuoco”?

Nascendo in una famiglia classica modenese, originaria di Spilamberto, la cucina è sempre stata una passione. Da bambino ammiravo mia nonna e mia mamma intente a tirare la sfoglia, fare i tortellini e le tagliatelle. Quando i miei genitori andavano a lavorare, e io ero a casa da scuola, preparavo loro il pranzo o la cena. Anche se il risultato dei miei manicaretti non era perfetto, era tanta la soddisfazione nel vedere la loro gioia quando si sedevano a tavola. Per questo l’scrizione alla Scuola Alberghiera di Serramazzoni, dopo la Terza Media, è stata una scelta naturale.

Lei vanta alcune esperienze all’estero lavorando con chef stellati. Cosa le hanno trasmesso?

Avevo 16 anni appena compiuti quando sono partito per Londra per uno stage di due mesi al Floriana Restaurant, per imparare l’arte di internazionalizzare i piatti.  Giovane, abituato ai ritmi della provincia, sono rimasto folgorato dalla capitale inglese, imparando e scoprendo culture e modi di cucinare differenti. Qui la mia passione per la cucina si è ulteriormente rafforzata. E proprio a Londra, dopo la maturità, ho deciso di ritornare per porre le basi di partenza della mia futura carriera. Ho lavorato alla Locanda Locatelli nella centralissima Seymour Street, ristorante molto celebre nel Regno Unito tra gli amanti della cucina italiana e gestita da Giorgio Locatelli. In seguito sono passato in uno dei ristoranti dello Chef Giapponese Nobuyuki (Nobu) Matsuhisa, precursore della cucina fusion. Proprio qui ho trascorso un anno molto importante e formativo che ha ampliato le mie conoscenze sia a livello gestionale che culturale. Come suggeriva lo chef del Nobu, in cucina bisogna ricercare la contemporaneità senza dimenticare le proprie radici e quelle del proprio territorio.

Poi l’incontro con lo chef Carlo Cracco, figura determinante per la sua carriera

Tornato in Italia, nel 2006, decisi fortunatamente di mandare il curriculum a Cracco, uno degli esempi più importanti per la mia carriera, che all’epoca guidava il ristorante storico in via Victor Hugo a Milano. Ottenni la risposta dopo mezzora. Il caso ha infatti voluto che avessero bisogno di personale così, dopo pochi mesi, ho iniziato a lavorare per lui. Ricoprivo il ruolo di chef  ”entremetier”, l’incaricato di tutti i primi piatti. Ricordo ancora il piatto simbolo di Carlo Cracco, il Raviolo a bottone ripieno di maionese in salsa verde, e mentre lo preparavo pensavo tra me e me, “se mia nonna mi vedesse fare i ravioli con la maionese forse mi prenderebbe a schiaffi!”

Lavorare con Chef di questo calibro è stato quindi molto formativo per lei

Certo, queste esperienze hanno ampliato ancor di più la mia visione della gastronomia. Nel periodo trascorso a Londra alla Locanda Locatelli ho compreso l’importanza della ricerca della materia prima: lì utilizzano prodotti italiani selezionati, dalle puntarelle arrivate dalla Toscana, al salume emiliano fino alla bufala direttamente dalla Campania. Al Nobu ho apprezzato l’attenzione alla fusione tra tradizione e contemporaneità mentre con Cracco la cura degli ingredienti e la sostenibilità in cucina.   

Come è arrivato a lavorare all’Hotel Principe in Versilia?

Devo a Cracco la grande occasione di lavorare all’Hotel Principe Forte dei Marmi, un 5 stelle lusso. All’epoca lui era consulente esterno dell’Hotel ma la General Manager, Cristina Vascellari, voleva uno Chef Resident per l’Hotel Principe e poi del ristorante gourmet Lux Lucis, che io stesso ho contribuito a progettare. L’arrivo, nel 2017, della prima Stella della Guida Rossa Michelin, ci ha dato ulteriore visibilità e aiutati nell’approccio con il cliente tanto da spingere la proprietà ad investire su nuovi obiettivi. Abbiamo ricevuto numerosi riconoscimenti. Il ristorante vanta anche 4 cappelli conferiti da le Guide de l’Espresso, premi in bacheca come il “miglior pane 2018” da Identità Golose, e la “miglior pasta 2019” da le Guide dell’Espresso. Essendo un’azienda giovane cerchiamo di costruire un grande progetto, senza porci troppi limiti ma con i piedi per terra.  

Come sceglie gli ingredienti dei suoi piatti e quanto è presente la tradizione modenese nella sua cucina?

La modenesità nei miei piatti è sempre presente perché è dentro di me e nelle mie radici. Utilizzo tanti prodotti che ricordano la mia terra: le amarene, le ciliegie, ad esempio, sono prodotti spesso presenti nel mio menù. Inserisco sempre sfumature di parmigiano mentre uso con parsimonia l’aceto balsamico, un ingrediente che amo molto ma uso solo in piatti selezionati. Nella mia cucina contemporanea le due tradizioni gastronomiche, toscana ed emiliana si fondono. Un esempio: una grande differenza tra la cucina toscana e la cucina emiliana, entrambe di altissima qualità, è l’aggressività del gusto. La cucina toscana è d’impatto, potente e ricca di gusti. Quella emiliana è invece elegante, confortevole al palato, quasi vellutata nelle sue paste ripiene nei bolliti dal gusto pieno e rotondo. Quindi anche i piatti tipici della Versilia suggeriscono quella parte elegante e delicata ispirata alla cucina emiliana delle mie origini.

Chi cucinava meglio a casa sua? Da chi ha imparato?

Tutte le domeniche la nonna veniva a casa nostra e tirava la sfoglia con il mattarello e io rubavo il ripieno dei tortellini. Questo è il ricordo più presente nella mia memoria. Il “rubare” il ripieno del tortellino credo sia, per noi modenesi, un gesto innato. L’anno scorso ho lanciato il percorso degustazione On the road via Vandelli, l’antica strada voluta dal duca Francesco III d’Este e disegnata dall’abate, ingegnere e geografo Domenico Vandelli per collegare Modena a Massa nel XVIII secolo. Si trattava di un percorso degustazione che univa proprio le mie radici a quello che sono ora. Il primo piatto si chiamava, appunto, Radici. Era un tortellino trasformato in una sfoglia di carne ripiena di mortadella grattugiata e noce moscata da mangiare con le mani con un fondo di radici ridotto e un brodo di soffritto da mangiare a parte con il profumo del brodo che andava sul fuoco. Come quando ero bambino sentivo il ripieno nella bocca e nello stesso tempo la lunghezza delle radici intese come quelle della mia terra ma anche come radice dentro ognuno di noi. All’interno delle radici mettevamo poi in infusione i malli delle noci e del nocino in ricordo della tradizione del Nocino diffuso nel modenese.

La ristorazione riscuote grande interesse da parte dei giovani e in molti desiderano intraprendere una carriera nel settore. Cosa consiglia a chi, oggi, vuole avvicinarsi alla professione?

Negli ultimi anni la cucina è diventata molto presente nei format televisivi è tanti giovani ambiscono a diventare chef. E’ una professione che richiede anni di gavetta, sacrifici e impegno. E richiede una grande passione, quella che ti fa dimenticare la stanchezza delle tante domeniche e festività passate al lavoro e alle innumerevoli ore in piedi. Però le soddisfazioni sono tante. Questo lavoro è bellissimo e versatile: ti fa conoscere persone, culture diverse, viaggiare. Puoi lavorare come chef sulle navi, stagionale in giro per il mondo oppure ne alberghi o nei ristoranti. Il mio consiglio è di avere umiltà, apertura mentale, far evolvere la propria passione e integrarla nella propria vita perché fare il cuoco non è un mestiere ma uno stile di vita.  

Quali sono le maggiori difficoltà che ha dovuto fronteggiare nella sua carriera?

Il lavoro in cucina è molto gerarchico. Dallo Chef al lavapiatti, la “Brigata” è composto da molte figure che contribuiscono al buon funzionamento della cucina. Questo aspetto viene spesso sottovalutato. Quando sono arrivato all’Hotel Principe non avevo mai lavorato in un albergo. Dal primo giorno ho dovuto organizzare un team di ragazzi dalla mattina, con le prime colazioni, fino alla copertura di notte. Gestire il personale in cucina è una delle cose più difficili. Riuscire a trovare l’equilibrio, lo spirito di squadra, la capacità di lavorare insieme per raggiungere un obiettivo comune. Questo deve fare lo Chef, mantenere le redini ma con leggerezza, per trasformare lo sforzo e il sacrificio di tutti in una bella atmosfera che si trasmetterà poi al cliente.

Intervista di Laura Corallo pubblicato sul magazine ‘Arte di Vivere a Modena’

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